Autore: Ludovica Zimarino

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Parco regionale di Punta Aderci

L’incredibile bellezza del maggiore promontorio fra il Conero e il Gargano Punta Aderci è un luogo incantevole. Nel senso proprio del termine. Avvicinarsi alla punta sulla strada sterrata che lo collega alla zona industriale di Punta Penna, oppure da quella che arriva da Mottagrossa, permette di ammirare il promontorio che si staglia contro il mare in uno scenario completamente selvaggio che richiama ben altre latitudini.  I colori a Punta Aderci cambiano con il corso delle stagioni. Dal marrone profondo della terra rovesciata dagli aratri dopo l’inverno, al giallo vivo della fioritura delle ginestre e al verde della prima estate. Il contrasto con il blu del mare è sempre affascinante, soprattutto nei giorni di vento in cui anche l’Adriatico diventa una tavolozza che spazia dal celeste tenue delle rive sabbiose al blu profondo del largo.  Oggi Punta Aderci, oltre ad essere il promontorio più alto tra il Conero e il Gargano, è sicuramente il sito naturale più bello e incontaminato del medio Adriatico sulla sponda Italiana. Dall’alto dei suoi 36 metri sul livello del mare, la vista spazia per decine di chilometri su tutta la Costa dei Trabocchi, mentre verso terra si stagliano grandiosi i massicci della Maiella e del Gran Sasso.  Al base del costone roccioso, facilmente raggiungibili dalla spiaggetta a nord del promontorio, vi sono grotte e insenature. Al di sopra degli scogli che si protendono in mare un caratteristico Trabocco.  Il nome Punta Aderci in origine, e ancor oggi nella parlata vastese, era “Punta d’Erce”, poiché questo luogo era anticamente consacrato ad Herkle, ovvero l’Ercole delle popolazioni italiche, in particolare i Frentani, che abitavano in questi luoghi prima dei Romani. Sul promontorio sono stati ritrovati resti dall’età del bronzo (1.500 a.C.) fino al VI secolo d.C. Inoltre sulle sue pendici, vicino all’approdo naturale dato dalla spiaggetta posta a Nord della Punta, sono ancora visibili delle fosse granarie che datano all’incirca all’anno 1000, testimonianza della presenza di un piccolo porto commerciale.  L’impossibilità di difendere il sito e la storia turbolente dal Regno di Napoli hanno portato all’abbandono da parte delle popolazioni locali, che si sono concentrate più a Sud nella zona di Vasto. Lo sviluppo del porto industriale nel dopoguerra ha tenuto lontana l0attività turistica, ma anche la speculazione edilizia, facendo arrivare fino a noi questa meravigliosa bellezza naturale.  Scopri Punta Aderci durante uno dei nostri tour

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Punta Penna

Punta della Penna, il luogo magico in cui realtà e mito si fondono  Il secondo faro più alto d’Italia, dopo la Lanterna di Genova, è il faro di Punta Penna, posto a guardia del porto a circa 8 chilometri dal centro di Vasto. Il faro attuale, distrutto durante la seconda guerra mondiale, è la copia di quello originale che era stato completato nel 1912.  Il promontorio di Punta Penna, alto circa 15 metri sul livello del mare, ha sempre costituito un punto di riferimento per la navigazione e per gli insediamenti che qui si sono succeduti nel tempo. I resti romani che sono stati rinvenuti testimoniano un insediamento di cui purtroppo sappiamo ben poco. Alcuni ritengono che questo fosse il sito della città di Buca, presente nelle mappe dell’epoca e successivamente scomparsa dalle cronache.  Altri, invece, raccontano di come il promontorio in passato si protendesse ulteriormente in mezzo al mare e, a circa tre chilometri dall’attuale costa sorgesse la città di Aspra. Sembra che effettivamente a quella distanza vi sia qualcosa sui fondali, ma non è mai stata fatta una campagna di scavi su questa sorta di Atlantide adriatica.  Quello che è certo è che già nell’alto medioevo su questo promontorio sia sorto un borgo, denominato Pennaluce, e fondato sulle preesistenze romane. Se ne ha notizia dal 1006 e si sa che il piccolo borgo ebbe una certa importanza commerciale durante il periodo Angioino, grazie al suo porto naturale.  Purtroppo Pennaluce fu indebolita dalle conseguenze di alcuni terremoti e venne definitivamente distrutta e spopolata agli inizi del ‘400 da un attacco dei Veneziani, tanto che nel 1417 Giovanna II d’Angiò, regina di Napoli, concesse alla città di Vasto il possesso del casale ormai disabitato.  Il sito rimase così solo un luogo di devozione, particolarmente caro al marchese don Diego I d’Avalos che, alla fine del ‘600, decise di farsi costruire una casina da caccia nella vicina valle del torrente Lebba e nel 1689 fece ricostruire anche la chiesa con una pianta a croce greca. Il tempio è stato poi restaurato a metà dell’800, quando ha assunto le attuali forme neoromaniche.  Negli anni ’80 sono stati rinvenuti sotto la zona dell’abside resti di insediamenti dell’età del bronzo (1000 a.C.) e tracce di un tempio romano, a testimonianza del rilievo che questo sito ha sempre avuto per le popolazioni della zona. Oggi la chiesa della Madonna della Penna è situata in tutt’altro contesto, dato che è posta all’ingresso di un piccolo quartiere portuale degli anni ’50. Conserva però un fascino immutato conferitole dalla posizione a strapiombo sul mare, dall’incombente faro alle sue spalle e dalla vista che da lì’ spazia sulla costa di Vasto e fino al Gargano.  Scopri Punta Penna durante uno dei nostri tour

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Monumento alla bagnante

Il simbolo moderno di Vasto sulle rovine del porto romano  Il Monumento alla Bagnante che si erge sullo scoglio di Scaramuzza, posto proprio dove il Golfo di Vasto incontra il tratto roccioso oggi definito Costa dei Trabocchi, è oggi considerato il principale simbolo di Vasto. Le sue vicende e quelle dell’ambiente circostante ci parlano però di una storia lunga tremila anni.  La statua in bronzo, opera dell’artista ortonese Aldo D’Adamo, fu commissionata dal comune di Vasto e inaugurata nel 1979. È alta 3,60 metri e pesa circa mezza tonnellata. Era stata pensata come strumento promozionale della Vasto balneare e si può dire, in un certo senso, che fosse l’equivalente scultoreo delle cartoline che tanto andavano di moda negli anni ’70, quelle che raffiguravano le belle ragazze in bikini sulla spiaggia.  L’aspetto più divertente sta nel fatto che il Monumento alla Bagnante non sorge neanche in un posto qualsiasi, ma nello specchio di mare su cui sono ancora visibili rovine, probabilmente di epoca romana, che sono oggi denominate “Parco Archeologico Sommerso di Vasto”.  Le mura che escono dal fondale sabbioso, nei giorni in cui il mare è più limpido, sono facilmente visibili anche dal lungomare. L’area, infatti, è quella alla foce del torrente Angrella in cui si trovava il primo approdo di Vasto, fra lo scoglio detto del Trave e quello, appunto, di Scaramuzza. Secondo la legenda è lì che sarebbe approdato Diomede in fuga dalla distruzione di Troia per fondare l’antica Histon circa tremila anni fa. Ed è sempre in quel luogo che si sviluppò una struttura portuale in epoca romane e poi una in epoca medievale, attiva probabilmente fino al ‘500.  Oggi, esaurita da tempo la funzione di approdo, si può dire che anche la stagione balneare di questa zona si stia esaurendo, visto che la presenza dei bagnanti si è spostata e diffusa su tutta la costa. Il Monumento alla bagnante diventa quindi una sentinella che congiunge il Golfo d’oro con la Costa dei trabocchi e assume un valore storico che ci parla di un tempo apparentemente vicino, ma già piuttosto lontano.  Scopri il monumento alla bagnante durante uno dei nostri tour

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Il Pontile alla marina

Un monumento al ‘900  A circa un chilometro dall’inizio del Golfo di Vasto sulla spiaggia sorge un pontile che permette di inoltrarsi per circa sessanta metri nelle acque dell’Adriatico. Per accedervi, dalla spiaggia si sale su una rampa, percorsa la quale ci si trova a circa due metri sul livello del mare e, al suo termine, si allarga in una piattaforma su cui è piacevole sostare per contemplare il mare.  Il Pontile, realizzato nel 1998 in cemento armato, è collegato con una passerella al palazzo che ospita attualmente il Circolo Nautico e che lo cela alla vista dal lungomare. Nonostante questo non è attrezzato per l’attracco delle barche e appare come un’architettura priva di utilizzo pratico, visto che non è attrezzato per l’attracco delle barche.  In realtà il pontile attuale è stato realizzato per sostituire quello storico, in legno e ferro, demolito nel 1996 e molto caro ai Vastesi che lo consideravano un simbolo della loro spiaggia. Era stato costruito circa un secolo prima come scalo per le navi da carico e da pesca che usavano il golfo di Vasto, all’epoca più profondo di quanto non sia attualmente, come porto naturale.  La sua posizione, vicina al torrente Fosso Marino, era stata probabilmente determinata dalle attività presenti al rione Marina a inizio secolo, in particolare la fornace di mattoni che si trovava a circa trecento metri all’interno rispetto alla spiaggia. Nella zona sorgevano anche le costruzioni della dogana di Vasto, proprio a testimoniare il ruolo commerciale della piccola infrastruttura.  Successivamente, nel 1948, venne costruito il mercato del pesce, l’attuale Circolo Nautico. Le imbarcazioni, all’epoca a remi o a vela, ormeggiavano al pontile e scaricavano il pescato a pochi metri da dove veniva venduto. Negli anni successivi venne però costruito il porto industriale a Punta Penna e anche la flotta di pescherecci venne man mano motorizzata e spostata nel nuovo sito.  Il pontile rimase così in mezzo al mare, senza alcun utilizzo e iniziò ad arrugginire, tanto che per anni fu impedito l’accesso. Quando venne smantellato, il comune di Vasto decise di ricostruirlo perché ormai la sua figura faceva parte dei ricordi dei Vastesi e dell’immaginario che ogni di essi porta con sé.  Scopri il Pontile alla marina di Vasto durante uno dei nostri tour

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La Via Verde

Pedalando tra scenari mozzafiato in un paesaggio incantato e al di fuori del tempo  La costa dei trabocchi è un tratto di litorale di circa 40 km che va dallo Scoglio di Trave nel territorio di Vasto fino alla spiaggia Ripari Bardella, posta tra San Vito Chietino ed Ortona. È celebre per la presenza dei trabocchi, palafitte di legno erette sugli scogli e dotate di semplici attrezzature da pesca, utilizzate per centinaia di anni dalle famiglie della zona e oggi spesso trasformate in pittoreschi ristoranti.  La particolarità di questo tratto di costa è innanzitutto di tipo naturalistico. Le colline che si tuffano in mare fra le scogliere costituiscono uno scenario unico nel tratto di medio adriatico compreso tra il Conero e il Gargano e questo crea scenari mozzafiato, come quello di cui si può godere dalla falesia di Punta Aderci, la più alta in assoluto con i suoi 36 metri.  L’altra particolarità è di tipo antropico. Priva di approdi naturali e priva di grandi spiagge sabbiose, non ha mai visto lo sviluppo di centri costieri, rimanendo in gran parte selvaggia e disabitata ancora ai nostri giorni, nonostante la presenza di centri urbani millenari alle sue spalle (le città Vasto, Lanciano e Ortona, rilevanti già dal tempo dei Romani). Anche lo sviluppo dei trabocchi che la costellano è probabilmente dovuto alla pratica di costruire pontili in legno per consentire l’approdo delle navi già in epoca medievale.  La zona dove si possono osservare i trabocchi è divisa fondamentalmente in due parti, a nord e a sud della foce del fiume Sangro. La prima zona insiste sui comuni di San Vito Chietino, Rocca San Giovanni e Fossacesia. La seconda, invece, è compresa nell’ampio territorio di Vasto. In mezzo, i litorali di Torino di Sangro e Casalbordino, sopravvento rispetto alla foce del fiume, hanno lunghe spiagge di sassi e non presentano alcun trabocco, salvo quello della Punta Le Morge.  Su questo tratto di costa fino agli anni ’90 correva la ferrovia costruita nell’800 praticamente sugli scogli. Con l’arretramento del tracciato nella maggior parte della tratta, è stata realizzata la bellissima ciclovia della Costa dei Trabocchi, detta anche Via Verde, che consente finalmente di raggiungere con facilità luoghi spettacolari che prima erano di difficile individuazione e accesso.   A Vasto potrai percorrere il tratto più meridionale della Via Verde e osservare da vicino diversi Trabocchi. Ma potrai anche visitare le due riserve naturali della Marina di Vasto, la stupenda grande spiaggia sabbiosa che è la principale attrazione turistica della città, e di Punta Aderci. Tutto questo con l’opportunità di continue soste e deviazioni per visitare chiesette romantiche affacciate sul mare, il secondo faro più alto d’Italia, torri spagnole di avvistamento, oppure zone archeologiche che attestano la presenza dell’uomo in questi luoghi dal periodo neolitico!  Cosa aspetti? Monta sulla bici e seguici nei quattro itinerari che abbiamo preparato apposta per te! 

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Monumento a Gabriele Rossetti

I tanti misteri del monumento al poeta che NON è ritratto nella statua a lui dedicata. Il monumento al poeta Gabriele Rossetti al centro dell’omonima piazza è, senza dubbio, il centro di Vasto. Eppure questo, fino a cento anni fa, era un luogo periferico, ovvero la spianata fuori dalle mura sorta al posto dell’anfiteatro romano, dove si svolgeva periodicamente la fiera del bestiame. Inoltre provate a chiedere a qualsiasi vastese come si chiama il personaggio raffigurato dalla statua. Tutti sapranno rispondervi. Se chiedete, però, cosa abbia scritto, pochissimi ricorderanno il titolo di una sua opera.  Questa strana situazione ha dei motivi storici e culturali molto precisi. Fino all’inizio del ‘900 la piazza era chiamata spianata del Castello e si trovava di fronte alla porta di Castello, ovvero l’ingresso alla città posto accanto al Castello Caldoresco, poi inglobato nel Palazzo Palmieri ancora visibile nel prospetto nord. Con l’espansione del centro abitato fuori dalle mura e, soprattutto, con la creazione della statale adriatica che congiungeva Trieste ad Otranto passando proprio dal centro di Vasto, la spianata posta lì’ accanto venne ad essere il luogo di congiunzione fra la città vecchia e quella nuova.  Durante i primi anni del regime fascista si ritenne che il nuovo centro di Vasto dovesse assumere l’aspetto monumentale e marziale che le conveniva. In occasione del completamento dell’acquedotto del Sinello, fu creata una grande fontana e la piazza venne sistemata con aiuole e raccordata con il sistema di grandi viali che portavano dalla villa Principe di Piemonte, attuale Villa Comunale, al Palazzo d’Avalos.  Per dare il nome alla piazza fu collocato al suo centro il monumento a Gabriele Rossetti che, sebbene fosse morto esule e povero a Londra nel 1854, negli assi successivi era divenuto uno dei simboli del risorgimento Italiano per l’adesione alla Carboneria, gli studi su Dante, la lotta contro i Borbone (era riparato a Londra perché condannato a morte in seguito ai moti del 1821) e anche per il suo spirito anticlericale.   Venne così deciso di realizzare la statua di cui si parlava da anni, ma per cui non si erano mai trovati i soldi necessari e venne incaricato lo scultore napoletano Cifariello che realizzò il ritratto di un Gabriele Rossetti in abiti tardo-ottocenteschi, intendo a leggere la Divina Commedia, sormontato da un’aquila pronta a spiccare il volo e completato dai medaglioni dei suoi quattro figli, la maggior parte dei quali erano divenuti celebri in Inghilterra come poeti o pittori. Le opere in bronzo furono collocate su una stele in pietra e l’intero complesso fu inaugurato da Sua Altezza Reale, il Principe Umberto di Savoia, il 12 settembre 1926.  Tre anni dopo il regime fascista firmò i Patti Lateranensi e la religione cattolica tornò ad essere religione di Stato. Rossetti, in ragione del suo anticlericalismo, fu eliminato da tutte le antologie italiane e pressoché dimenticato.   Così, a Vasto Rossetti rimase nella toponomastica di tanti luoghi, oltre che nella statua che dovrebbe rappresentare la sua effigie, ma che, confrontata con i ritratti fattigli da diversi amici pittori mentre era in vita, non evidenzia alcuna somiglianza. Questo perché, a quanto dicono le male lingue, il ritratto era stato fatto per un monumento ad un altro poeta che era stato ordinato e poi disdetto. Lo scultore Cifariello aveva pensato bene di riciclarlo, dando al nostro Rossetti l’aspetto che oggi tutti gli attribuiscono!  Scopri il monumento a Gabriele Rossetti durante uno dei nostri tour

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Chiesa di San Michele

La chiesa di San Michele tra misteri e massoneria  In cima alla collina dei Tre Segni, al termine di quella che oggi è l’ormai centenaria Villa Comunale, c’è una piccola chiesa che si affaccia sul mare.  È la chiesa di San Michele Arcangelo. È di ridotte dimensioni e sorge piuttosto lontana dal borgo, sotto la giurisdizione religiosa della Chiesa di Santa Maria Maggiore. Eppure è la chiesa del santo patrono di Vasto e racchiude misteri che uno sguardo attento può scorgere nelle sue stesse mura e al suo interno.   Al suo interno, infatti, sono venerati non solo i tre arcangeli ufficialmente riconosciuti dalla religione cattolica, ma, accanto alle statue di Michele, Gabriele e Raffaele, trovano posto le statue di Uriele, fiamma di Dio, Barachiele, adiuvante degli oppressi e dei deboli, Jeudiele, lodatore della parola di Dio, e Sealtiele, mediatore e uditore di suppliche.  Cosa ci fanno lì e perché la chiesa presenta la forma di un tempio solare ed è stata costruita con una chiara simbologia massonica?   Oggi, infatti, la chiesa di San Michele a Vasto è un tripudio di significati allegorici. La sua disposizione è quella propria di un tempio solare. La tribuna d’ingresso con il timpano a piramide simboleggia l’occhio di Dio, mentre la pianta ottagonale rimanda al simbolo della perfezione.  Per comprendere i motivi di questa inattesa simbologia bisogna sapere che l’arcangelo Michele, nel corso di duemila anni, ha riassunto in sé le caratteristiche di precedenti divinità venerate dai popoli che abbracciavano via via il cattolicesimo, fra cui Mithra e Odino.  San Michele, con le sue molteplici identità nascoste, all’inizio dell’800 venne “arruolato” anche dalla Carboneria. Nel 1820 i Vastesi presero la statua dell’Arcangelo e la portarono nella cattedrale di San Giuseppe per conferirgli la fascia di Gran Maestro della Carboneria.  Non deve stupire, quindi, che nel 1827 la Chiesa accolse le richieste della cittadinanza e proclamò San Michele nuovo patrono cittadino. Nel 1835 si decise di ricostruire la chiesa e il culto dell’Arcangelo venne così ricollegato anche architettonicamente ai suoi significati più profondi.  Scopri la Chiesa di San Michele durante uno dei nostri tour

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Palazzo d’Avalos

Sede del museo archeologico, della pinacoteca e dell’incantevole giardino alla napoletana  Costruito dal signore di Vasto Giacomo Caldora attorno al 1427 su degli orti che prima appartenevano al convento degli Agostiniani, Il palazzo divenne dei Marchesi d’Avalos nel 1496. I d’Avalos mantennero l’impianto tardo gotico del palazzo, ancora oggi visibile in alcuni dettagli portati alla luce dai recenti restauri, ma svilupparono e ingrandirono la costruzione che divenne il centro del loro potere.  Nel 1566 purtroppo il palazzo venne dato alle fiamme dagli ottomani che erano entrati a saccheggiare la città agli ordini di Piyale Pascià. I Marchesi del Vasto dopo pochi anni lo ricostruirono nelle forme attuali, partendo dalla facciata Ovest che dà su Piazza Lucio Valeri Pudente. Questa è sicuramente la più rilevante dal punto di vista architettonico e richiama lo stile cinquecentesco dei palazzi romani.  Il Marchese Cesare Michelangelo d’Avalos apportò notevoli miglioramenti al palazzo, dotandolo di un teatro al piano terra e dello scalone monumentale che oggi conduce alla pinacoteca. I suoi eredi, nella seconda metà del ‘700, affidarono probabilmente all’architetto Mario Gioffredo, lo stesso a cui è attribuito il progetto della chiesa del Carmine, la sistemazione del lato Nord.   A fine secolo furono sistemati i loggiati e i terrazzi sul lato verso il mare e il giardino di stile napoletano. Questo è oggi forse il punto di maggior interesse del complesso per l’atmosfera data dal pergolato sorretto da colonne in mattoni e dalle maioliche napoletane, per l’incantevole vista sul Golfo di Vasto e per le testimonianze architettoniche del primo palazzo, fra cui una bella bifora in stile gotico flamboyant.  Dopo la fine del marchesato, dichiarata nel 1808, i d’Avalos si ritirarono a Napoli. Il palazzo fu ceduto a privati e diviso in appartamenti e botteghe. Per lunghi anni nel suo teatro venne ospitato un cinema. Nel 1974 fu acquisito quasi totalmente dal comune di Vasto adibito a sede museale. Oggi ospita il Museo Archeologico, il Museo del Costume Antico e la Pinacoteca. Il giardino alla napoletana fa parte del percorso di visita museale, ma ospita anche diversi eventi estivi. Il cortile del palazzo, invece, è a volte sede di concerti.  Il palazzo è stato quasi completamente restaurato dal comune di Vasto negli anni ’90 dello scorso secolo. Non completamente perché l’angolo di Nord-Est, con il grande terrazzo che si affaccia sul mare, è ancora di privati. Perciò, se mai voleste abitare a Vasto nel palazzo dei suoi Marchesi, sappiate che è un sogno ancora raggiungibile!  Scopri Palazzo d’Avalos durante uno dei nostri tour

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Castello Caldoresco

Metà palazzo neoclassico e metà castello medievale Il Castello Caldoresco, principale monumento cittadino, presenta due nature opposte. SI staglia come maniero medievale, con tanto di fossato e ponte levatoio se lo si osserva dalla piazza Barbacani, mentre appare come un palazzo neoclassico, Palazzo Palmieri, se lo si guarda dalla piazza Rossetti.  Il castello, nelle sue forme composite ed eclettiche, costituisce in realtà un compendio della storia cittadina e, osservandolo con attenzione, si possono rileggere le vicende di duemila anni di storia riassunte nelle sue mura.  Se si potesse accedere alle sue cantine, nella parte trasformata in palazzo, si scoprirebbero infatti delle mura romane. Sono quelle dell’anfiteatro dell’antica Histonium, sulle cui rovine i franchi avevano probabilmente costruito il primo castello dopo la conquista del borgo nel 802 e la fondazione del Vasto d’Aymone.  Quando Giacomo Caldora, potente capitano di ventura, ricevette in feudo nel 1422 la città del Vasto, decise di adeguare il castello alle necessità difensive imposte dall’avvento delle armi da fuoco. Per questo nel 1427 fece iniziare i lavori, affidati probabilmente all’ingegnere militare Mariano di Jacopo da Siena, detto il Taccola. Questi allargò il castello secondo un modello definito “cinta bastionata”, con tre robusti bastioni “a mandorla” atti a deviare i colpi di artiglieria e un quarto bastione circolare a cui era addossata la porta “di castello” nel punto in cui oggi si passa da Piazza Rossetti a Piazza Diomede.   Il castello che vediamo oggi da Piazza Barbacani, è quindi quello del 1427, privato delle due torri interne alle mura che originariamente ne facevano parte e che dovevano dare originariamente al castello un aspetto simile a quello sempre costruito dal Caldora a Pacentro. Le torri che oggi fanno capolino dalle mura, quella sormontata dalla lanterna ottogonale e quella cilindrica con la merlatura guelfa, furono invece aggiunte dal marchese Cesare Michelangelo d’Avalos, che riacquisto il castello dal Comune nel 1701 e lo restaurò, dopo che questo era stato utilizzato come tribunale e come carcere.  Dopo il periodo napoleonico, il castello fu acquistato da Salvatore Palmieri che affido al maggior architetto cittadino, il Pietrocola, la costruzione del palazzo che oggi si osserva da Piazza Rossetti. All’intervento originario del Pietrocola ne seguirono altri che deturparono il lato Nord con una serie di botteghe costruite a ridosso del muro esterno di cinta, botteghe che fortunatamente sono state demolite nel 1960, anno in cui almeno la facciata medievale del Castello è stata riportata alle sue forme originali.  Scopri il Castello Caldoresco durante uno dei nostri tour

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Santa Maria Maggiore

L’imponente chiesa fortezza di Santa Maria, luogo di devozione e di mistero  Se guardi Vasto dalla sua spiaggia, noterai subito un campanile imponente che svetta maestoso su tutto il borgo medievale che ti osserva dalla collina. Ai suoi piedi, la grande chiesa che sovrasta ogni altro edificio. È la Chiesa di Santa Maria Maggiore, inserita nell’Elenco degli edifizi monumentali in Italia e vanto della città.  Una volta salito al borgo, dal Corso potrai prendere la via Santa Maria. Una volta arrivato all’omonima piazzetta, al posto della solenne facciata che avevi immaginato, troverai ad attenderti la sagoma di una modesta costruzione con un piccolo portale in cima a pochi scalini.  Varcato il portone, ti ritroverai in un piccolo vestibolo alla base della navata destra. Entra all’interno del tempio e la grandiosa navata centrale ti si aprirà in tutto il suo sfarzo neoclassico. Solo allora comprenderai che, all’esterno, la sua sagoma era celata dall’immenso campanile posto proprio dove avrebbe dovuto essere la facciata.  La Chiesa collegiata di Santa Maria Maggiore è un concentrato di mistero. Nasce sulle mura di una possente fortezza, detta la “Battaglia”, che ha inglobato la vicina chiesa di Sant’Eleuterio sorta nota già in epoca carolingia. Agli inizi del ‘400 è stata la culla della Confraternita del Gonfalone, di ispirazione penitenziale.  Nella cappella in fondo alla navata destra conserva la reliquia della Sacra Spina donata da Francesco Ferdinando d’Avalos. La leggenda popolare vuole che la spina fiorisca ogni anno quando viene portata in processione il venerdì prima delle Palme per le vie della città.  Al marchese Cesare Michelangelo, che dono alla chiesa tele di Veronese e della scuola di Tiziano, oggi nella navata sinistra, è dovuto invece il dono delle reliquie di San Cesario. Lo scheletro del martire si trova in una teca di vetro nella cripta al di sotto del presbiterio. La leggenda, in questo caso, vuole che il santo sia stato composto in posizione supina e che si alzi di qualche grado ogni volta che è prossimo un terremoto. Quando arriverà a stare seduto, annuncerà il crollo della Chiesa.  All’inizio dell’ottocento la chiesa è stata privata della parrocchia e del capitolo, che ha riacquistato dopo oltre un secolo. Nonostante questo, nell’ottocento è stata manutenuta e ampliata grazie alla devozione dei d’Avalos, delle confraternite e della fratellanza massonica di cui si trovano i simboli nella tomba del Conte Venceslao Mayo alla base della navata destra. Scopri la chiesa di Santa Maria Maggiore durante uno dei nostri tour

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